E’ in fiore adesso… la cretina
Fatta arrivare qs estate, direttamente dalla Francia, in quello che là chiamano “godet”, per un lavoro che dovevo fare, e poi non ho fatto.
E’ ancora nel suo “godet”, la cretina, perché poi, fra una cosa e l’altra, non l’ho più rinvasata, dopo non aver fatto il lavoro. Mi sono semplicemente “degnato” di appoggiare il suo vasetto in un vaso un poco più grande, di quelli che vengono definiti “13 alto”, della capacità di un litro, che, una decina di giorni fa, mi sono degnato di riempire di terra, senza neppure togliere la pianticella dal suo “godet” che, qualche settimana fa, in attesa dell’arrivo del freddo, mi ero limitato a trasferire in serra fredda, nel timore di perderlo. So benissimo infatti, che se la pianta, in terra, è in grado di sopportare gelate di qualche grado sotto lo zero – tipo una decina – la minima infreddatura le sarebbe stata letale, abbandonata nel suo vasetto, laggiù all’aperto. E così mi sono “degnato” di ritirarla: mi sarebbe spiaciuto perdere, dopo aver già perso il lavoro, questa vittima incolpevole dei capricci dell’uomo, prima di tutto i miei.
Credo di essermene innamorato tanti anni fa, a Masino d’autunno, dopo averne vista qualche pianta fiorita presso il magnifico stand de Le essenze di LEA. S’era d’autunno, appunto, ed Elisa aveva nel pieno del loro splendore, tutta una serie delle sue specialità: le salvie sudamericane a fioritura autunnale. Erano piante brutte e sgraziate, come sempre capita a qs piante quando vengono coltivate in vaso, eppure in mezzo a tutte le altre, che allora non conoscevo, spiccava LEI, con la sua particolarissima tonalità di blu-violetto. Le “altre” – che allora non conoscevo – mi avevano attratto, ma solo un attimo: giusto il tempo per ca(r)pirne il nome e capire che non erano fatte per me: troppo alte, sgraziate, ingombranti e voluminose, a fioritura autunnale e, per di più, freddolose: ergo… non c’era trippa per gatti, in quel periodo: niente spazio per ritirarle, niente terra in cui piantarle e, oltretutto, con il rischio che una gelata precoce guastasse – per non dire bruciasse del tutto – la loro fioritura così tardiva…. I loro nomi erano: Salvia involucrata, Salvia splendens vanhouttei e altre, che ora non ricordo, ma tutte con le medesime caratteristiche: alte, maledettamente ingombranti, terribilmente sgraziate, freddolose e con una fioritura troppo tardiva, perché io me le potessi permettere, allora…
Ma LEI, con la sua particolarissima tonalità di blu-violetto, mi è rimasta dentro, per anni: LEI e l’insostenibile cruccio di non poterla coltivare. O di non VOLERLA coltivare, non in vaso almeno…
Ai tempi esisteva un solo testo di riferimento, in italiano almeno, l’insostituibile “Salvie” dell’altrettanto insostituibile Maria Luisa Sotti, che ovviamente mi ero precipitato ad acquistare, insieme a molti altri della Collana “Gemme verdi” dell’Edagricole (1999).
Anni più tardi, quando si è trattato di stendere l’elenco delle piante per il Giardino del Merlo, Elisa è stata, come sempre impagabile: si trattava di mettere gruppi di piante che, oltre ad essere rustiche, o semirustiche, fossero “luscious”, lussureggianti, per dare l’idea del Paradiso terrestre, secondo quell’idea messa nero su bianco da William Robinson nel suo “The subtropical garden”. Niente pinte annuali, però, quindi niente ricini, amaranti, coleus, begonie etc. Etc.
Oltretutto in un luogo che, a causa del particolarissimo microclima, insubrico ma esposto a sud e quindi riparato dai terribili venti di tramontana, minacciava di essere non semplicemente USDA Z8a,
bensì, udite udite, ADDIRITTURA 9a. E quindi via libera a Musa, Ensete, Hedychium, Jasminum,
Bauhinia, Dahlia imperialis/maxoni, oltre a evidentemente, le MIE amatissime Salvie.
Mi ero dato un limite, però: che le essenze scelte fossero tutte “selvatiche” o quasi, e, se possibile, coltivate e scoperte prima del 1858, anno in cui Giovanni Manzi diede il via alla creazione di quello che sarebbe stato il meraviglioso quanto sfortunatissimo Giardino del Merlo. Ho fatto eccezione – credo – solo per il meraviglioso Trachycarpus princeps, ma come si faceva a non metterlo? 😉
Le specie suggerite da Elisa, e da me approvate, dopo lunghe dissertazioni e disquisizioni con me medesimo erano: Salvia blepharophylla, S. cacaliifolia, S. elegans, S. guaranitica, S. leucantha, S. melissodora, S. nubicola, S. regla, S. rubescens, S. semiatrata, S. spathacea.
Nel frattempo avevo però cominciato a masticare e a leggere, se non proprio a parlare, un po’ di inglese, e mi ero procurato un altro dei sacri testi disponibili sull’argomento: “The gardener’s guide to growing Salvias” di John Sutton (Timber press, London, 1999)
Quindi, fra quel che avevo letto e i preziosissimi consigli di Elisa avevo la certezza, che non è mai assoluta, ma ci si avvicinava molto, che le piante scelte, sì, ce l’avrebbero potuta fare. Preso dal solito entusiasmo mi ero completamente dimenticato – o avevo finto di dimenticare che, come sempre, l’uomo propone e Dio dispone, ma non potevo immaginare che, tre anni dopo, le cose sarebbero andate diversamente da come avevo pianificato…
Torniamo ora alla nostra “bella”: proviene da Brasile, Uruguay ed Argentina… []
Betty Clebsch, altro guru del mondo delle Salvie, che però ha la fortuna di lavorare e vivere in California, dice che…. []
Ciò non toglie che oggi è l’undici gennaio e la mia povera pianticella, a.k.a. “la cretina” si sta ostinando a sopravvivere, e fiorire, in un vasetto dell’otto, di plastica molle, che i Francesi chiamano “godet”, dove io mi ostino a lasciarla, dopo averla fatta arrivare qs estate, per un lavoro che dovevo fare, e che non ho fatto, in attesa che io mi decida a piantarla da qualche parte, a venderla o a regalarla. Ma credo che propenderò per la prima o per l’ultima delle tre, non appena ne avrò l’occasione: mi sono accorto che DETESTO vendere piante, quando questo lavoro si fa per Passione… e non per mestiere 😉
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